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CURRENT PRODUCTION

Ultimo brindisi

 

Note di Regia:


Questo è uno spettacolo rivoluzionario,dove i personaggi “mutano”si “trasformano” e a dispetto della loro forma originaria “fiorificano”
Tutto ha inizio nello spazio del teatro. Spazio fuori dal tempo ordinario, tempo altro
Le attrici, Interpretando le ragazze morte, ineluttabilmente, sarebbero state costrette a morire, perché il loro destino è segnato, la morte accaduta, costrette a rivivere, giorno dopo giorno, replica dopo replica, il crudele ruolo che gli si imponeva nello spettacolo. Allora si sono sottratte, alle azioni, al copione immutabile previsto per loro. Cambiano la trama delle loro storie, come attrici si fingono ragazze morte ma con la potenza del loro essere in-vita scelgono la vita stessa, scelgono l’amore.
La morte è la morte ma sul palco è la poesia che si manifesta come unica possibilità dell’essere umano di riscrivere la sua storia.
Solo dal tradimento della forma può rinascere la vita.
 

Ispirato ai testi poetici di S. Plath, Greta Rosso, Nika Turbina, Marina Cvetaeva.
 

In scena:
 

Gli attori:

Francesco Liuzzi
Francesca Marchese
Rossana Micciulli

 

Le allieve del laboratorio:

Valentina Bonavita
Veronica Carbone
Maria Longo
Liliana Pecora
Camilla Sorrentino

 

Ideazione e Regia: Nuccia Pugliese

 


 

 

Elsinor

(red fish in room 2046)

 

Amleto, al centro, una creatura dolente che protrae le sue giornate in uno stato di veglia infinita in attesa di una conclusione, in uno stato allucinatorio, una perdita di contatto con la realtà, e questa perdita si compie sulla scena attraverso la materializzazione di spettri della sua non-vita.

Azioni, donne, aspirazioni, desideri, echi di un tempo perduto che incorporano la malinconia e il rifiuto di questa perdita. Brevi sequenze che ritornano ossessivamente a costruirsi sulla scena interrompendosi prima del compimento dell’azione ,unica possibilità di esistenza salvifica per il corpo in- potente dell’attore- personaggio- uomo- poeta-artista.

 

Questo è un primissimo studio su Amleto, l’inizio di una riflessione .

 

Ho immaginato la sala di un castello, o un’arena, o una piazza, ma non posso accontentarmi di un’atmosfera, bisogna essere precisi in modo assoluto, guardare attraverso una lente di ingrandimento. Tutto si gioca sul dettaglio,sui corpi e le anime dei personaggi-attori. Amleto guarda il mondo attraverso i miei occhi, un mondo folle e allucinato: personaggi cinematografici, cliché capovolti, cowboy gay, vamp claudicanti, burocrati; la quotidianità  della follia  del tutto contro tutti, una discesa negli inferi, un faccia a faccia con l’orrore, una testimonianza, un grido di ribellione, forse una speranza.

 

Nuccia  Pugliese

 

75 Minuti

 

 

Novembre 2004.

Parte il progetto “El jardin de las Palomas oscuras” – Teatro come esperienza di frontiera – Laboratorio teatrale per sole donne. Età: dai 30 anni.

… Sono arrivate alla spicciolata. Un po’ affannate dalle urgenze lasciate fuori e palesemente timorose di trascurarle. Hanno preso posto sul palco come sulla riva di un mare sconosciuto e spaventoso.

Devi opporre forza alla forza del mare, e bellezza, e astuzia alla sua intensità. Devi pure avere una strada dentro di te, una luce, una chiave se non vuoi farti risucchiare da ciò che non finisce mai. E devi saper raccontare a te stesso prima che a chiunque altro questa via per stare al mondo. Devi convincere, stregare, far volare. Decidere di togliere le mollette dalle camicie stese al sole. Decidere di perdere qualcosa, di non averla più per cominciare un viaggio che va verso il nuovo.

Sono arrivate in tante, in cerca di un appiglio, di un pretesto, di uno specchio in cui riflettersi per trovare la parte mancante  e incontrarsi e dare un senso all’ignorata continuità di gesti quotidiani.

Molte, stordite, naufragarono.

Altre, rapite, di quel mare si son fatte munifico dono andando oltre alla salvifica metamorfosi del viaggio: hanno aperto i ceppi, rotto le catene, fatto scorrere fiumi sul palco, si sono trasformate in alberi, montagne, mosse nello spazio scenico spostando l’aria, seminando vento e tempesta. “(…) Forse mi si sarebbero rizzate sul collo piume bianche. (scrive Genet nel suo bellissimo e struggente “Diario del Ladro” raccontando dell’esplosione del suo innamoramento) Una catastrofe è sempre possibile. La metamorfosi è in agguato. Mi potesse il panico. Vacillo. Non è stupefacente?”.

Ecco, questo progetto nasce da un innamoramento, inaspettato, esplosivo.

Il cammino è difficile.

All’inizio c’è il nulla, sappiamo in quale spazio lavoreremo ma il resto è indefinito, aperto. Cerchiamo di capire, di sentire quale direzione prendere. Una grande quantità di appunti, idee provate poi sulla scena, domande, tante domande, partiture fisiche da provare, risposte che devono poi trovare la loro verità sulla scena, nei gesti.

 

 

 

 

Virginia, Laura, Liliana, Carmela, Rossana: il loro incontro è straordinario, poetico, e loro non ne sono ancora consapevoli. Assoli che si moltiplicano in una dimensione collettiva struggente, forte e fragile, una meditazione sulla possibilità di trovare la poesia nella quotidianità. I corpi non sono più giovani, stanchi, i sogni svaniti, i ricordi cristallizzati in una danza imbalsamata da antichi vestiti di pizzo: non si fanno progetti a cinquant’anni…

Corpi e voci di donne sopraffatte, emozionate, prese da tutti, che hanno attraversato l’universo in una sola notte, donne che partoriscono, donne in tailleur e dentro il digiuno dell’anima. Donne che resistono per non mancare all’amore dei figli, donne belle davvero, invecchiate. Donne che nascondono la rabbia e il grido nella serenità del quotidiano. E infine donne che leccano i muri, la terra dov’è passato l’amore.

Ho visto immagini con figure sottili, volti nobili, ombre allungate. Panorami con luci secche. Ho ascoltato storie di smarrimenti, di rimorsi, di rimpianti e di grandi amori. Mi hanno raccontato di solitudine, di nuclei familiari spezzati. Rughe, pieghe, cose nascoste, sguardi obliqui come lame di luce. Ho visto e sentito amore, amore ovunque, amore che non riesce a trovare il suo posto: e ne ho percepito la bellezza.

Ed è per questo che mi assumo ben volentieri il rischio di uno spettacolo con attrici non professioniste, di rendere visibile un lavoro importante, per svelarlo attraverso la verità e il miracolo che il teatro ha compiuto.

In questo tragitto creativo abbiamo sentito risuonare come nostre le parole di Alda Merini, di Mariangela Gualtieri, di Garcia Lorca, di Giorgio Caproni, di Pablo Neruda a volte contaminate dal meraviglioso dialetto del Sud.

Passeggiate lungo un fiume, alberi di limoni, odore di case solitarie, il vento che agita i mesi, panni rotti che gocciolano salmastro, uno sterminio di oggetti, colore azzurro di sterminate fotografie, cose cadute, tenerezze, paracadute, baci…

Ecco, questo è il nostro spettacolo… io l’ho visto.

 

 

Nuccia Pugliese

Sonata per profeta Solo in chiave di violino

 

dall'Opera di P.P.Pasolini

 

Regia Nuccia Pugliese

 

 

Dall'opera di S.Beckett

Nun si sintìa rumuri

(due assolo per movimenti impercettibili)

 

Liberamente tratto dall’opera di S. Beckett.

 

 

Ideazione e Regia: Nuccia Pugliese

In scena: Francesco Liuzzi, Rossana Micciulli

 

 

Panni, numeri, parrucche, fiori, appesi e mormoranti; sono queste “tutte le voci morte” “non si accontentano di aver vissuto”, “di essere morte”. Raccontano la vita, una vita partorita “a cavallo di una tomba”, una vita raccontata per non sentire, “per impedire alla propria ragione di colare a picco”.

Il rumore, le grida, le voci morte, perseguitano i personaggi, sottolineano il vuoto che li circonda, che nei momenti più angoscianti diventa musica indiavolata, improbabile danza di felicità. Tutto sembra inutile come l’attesa di un destino che non verrà e non modificherà nulla

Splendore, pienezza e vuoto: dietro i personaggi si cela il ghigno spaventoso della morte, il disfacimento fisico e l’esaltazione della fisicità. Il filo conduttore dello studio è stato dunque il “Silenzio delle cose” e  nel percorso abbiamo come  sempre cercato la poesia, i pensieri si   sono mescolati, le voci confuse, legate da un filo invisibile: la vita stessa. “Qualcosa resta sempre, qualche residuo”. Corpi come poesie, cicatrici come  medaglie “piccole pagliuzze senza storia, piccoli pensieri senza fiato, rimorsi come fossero colori, sbiaditi in una stanza senza entrate”. E la poesia ritrova quindi, al cospetto del tempo onnipotente la propria originaria, invincibile connotazione di discorso contro la morte, di affermazione di un tempo altro: mentre si aspetta si può tentare di essere felici.

 

Nuccia Pugliese

 

 

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